OpenAI, come molte altre aziende e un miliardo di video su YouTube, ci spingono ad utilizzare ChatGPT o modelli simili per qualsiasi cosa, tra cui scrivere una nota di ringraziamento alla babysitter. Ha senso? Proviamo, innanzi tutto, a considerarlo dal punto di vista della babysitter (se sapesse che il biglietto non l’abbiamo scritto noi). “Grazie!”, direbbe. “Non hai nemmeno perso un secondo della tua preziosa vita per scriverlo TU il biglietto”, penserebbe. Sì, perché il tempo che dedichiamo a una cosa è parte del valore di quella cosa, tanto più se è tempo dedicato a farla per un’altra persona.
Allarghiamo il panorama. Kevin Roose, nel suo libro “Futureproof: 9 Rules for Humans in the Age of Automation”, suggerisce che nell’era dell’automazione e dell’IA, anziché entrare in una competizione senza speranza con le macchine per fare ciò che le macchine sanno fare meglio, dovremmo concentrarci sull’essere più umani e fare le cose creative, ispiratrici e significative che, almeno per il momento, l’IA più avanzata non sa fare (no, il messaggio gentile del vostro sistema IA o gli occhi felici del vostro robottino non è vera gentilezza, è programmazione a simulare la gentilezza; si fa prima, costa meno e noi ci crediamo).
Il tempo, il valore e l’empatia fanno parte delle nostre peculiarità: preferisco che TU ricordi DAVVERO, una volta ogni tre anni, di augurarmi Buon Natale con un TUO bigliettino un po’ sgrammaticato e magari sporco di sugo, piuttosto che rammentarti di me solo perché un algoritmo ti manda un messaggino, ti scrive il bigliettino facendo finta di essere Dante o Shakespeare e te lo stampa su una carta bianchissima e scintillante.
Il professor White, citato ad esempio in questo post, raccomanda giustamente di utilizzare l’IA per incrementare, e non ridurre, le nostre facoltà cognitive (“intelligenza aumentata”). Pena, fra le altre cose, diventare sempre più sostituibili con sistemi IA sempre più sofisticati. Pena, fra le altre cose, diventare sempre più inutili, anche a noi stessi.
Ma c’è di più. Nell’epoca del cambiamento climatico e degli sforzi (modesti, per ora) per ridurre le emissioni, è importante chiedersi anche quanta CO2 ci voglia per addestrare un sistema come ChatGPT e quanta ne produca ogni nostro uso (sì, perché i sistemi AI girano su computer veri, e spesso grandi, che hanno bisogno di molta energia per funzionare). I curiosi possono ad esempio leggere questo articolo del Guardian, dal significativo titolo “Why AI is a disaster for the climate”. In sostanza, quando stiamo per utilizzare ChatGPT per qualcosa che potremmo benissimo fare noi (e renderla meno alienante e più significativa), pensiamo anche al nostro contributo al cambiamento climatico. È un piccolo contributo, ma come al solito miliardi di piccoli contributi fanno un grande impatto.
Nello schema per lo sviluppo di progetti proposto da DeepLearning.AI nel corso AI for Good, si suggerisce, come primo passo, di valutare se l’IA costituisca davvero un valore aggiunto per il progetto che si sta considerando. Chiediamocelo non solo in ambito professionale, ma per qualsiasi cosa stiamo per fare.
