In attesa di proseguire la serie di post sull’AI Act dell’Unione Europea, vorrei suggerire un altro libro che ho trovato una lettura piacevole e accessibile. Si tratta di ‘AI in the Wild – Sustainability in the Age of Artificial Intelligence’ di Peter Dauvergne, pubblicato da The MIT Press. Secondo il sito web dell’editore, il testo discute dei potenziali benefici e rischi, per la sostenibilità globale, legati all’uso dell’intelligenza artificiale. In questo contesto, ‘sostenibilità’ si riferisce principalmente ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, poiché l’analisi del professor Dauvergne abbraccia un ampio spettro di argomenti, dai problemi ambientali alla giustizia sociale. Il tutto in meno di 250 pagine ben scritte. Questo rende il libro una valida sintesi e un utile punto di partenza per ulteriori approfondimenti.
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While we wait to continue our series of posts on the European Union’s AI Act, I’d like to recommend another book that I found to be a pleasant and accessible read. It’s titled ‘AI in the Wild – Sustainability in the Age of Artificial Intelligence’ by Peter Dauvergne, published by The MIT Press. According to the publisher’s website, the book discusses the potential benefits and risks of using artificial intelligence to advance global sustainability. Here, ‘sustainability’ primarily refers to the 17 UN Sustainable Development Goals, since Professor Dauvergne’s analysis spans a wide range of topics, providing a comprehensive overview of the potentialities and threats posed by the large-scale deployment of AI, from environmental issues to social justice. He achieves this in fewer than 250 well-crafted pages. This makes the book a solid summary and a helpful starting point for further exploration.
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Manfred Max-Neef e collaboratori hanno concepito lo Sviluppo a Scala Umana tenendo ben presente la necessità sia di tutelare la natura, sia di assicurare relazioni rispettose tra le persone. In ‘From the Outside Looking in’ (1982) Max-Neef scrive: “Il tipo di sviluppo in cui credo e che cerco implica un umanesimo ecologico completo. Nessuno degli attuali sistemi provvede a questo, né ha la capacità di correggersi (per raggiungere questo obiettivo) senza perdere l’essenza della sua identità […]. Non si tratta di aggiungere nuove variabili a vecchi modelli meccanicistici. Si tratta di rifare molte cose da zero […] di concepire possibilità radicalmente diverse […] di comprendere che, se è compito degli esseri umani definire i valori, è compito della natura stabilire molte delle regole. È questione di passare dal puro sfruttamento della natura stessa e delle persone più povere del mondo, a un’integrazione e un’interdipendenza creative ed organiche […] di una drastica redistribuzione del potere attraverso un’integrazione orizzontale delle comunità […] di passare da un gigantismo distruttivo a una piccolezza creativa”.
Lo Sviluppo a Scala Umana, però, assicura completa libertà nella scelta dei soddisfattori e quindi non garantisce automaticamente relazioni non problematiche tra individui, gruppi e comunità, con le future generazioni o con la natura stessa. Questo è vero per qualsiasi approccio allo sviluppo umano se, prima di tutto, non vengono stabilite appropriate “condizioni al contorno” concettuali ed etiche. Dobbiamo, quindi, definire questi percorsi etici. L’etica, tuttavia, è una questione di problemi, dibattiti, scelte e responsabilità, non una raccolta di ricette pronte per la felicità o l’equità. E quindi, e ancor più nell’era dell’IA, quale percorso vogliamo tracciare per noi stessi?
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Manfred Max-Neef and his collaborators devised the Human Scale Development approach, keeping both nature and respectful relations among human beings in mind. In ‘From The Outside Looking In’ (1982) he writes: “The kind of development in which I believe and which I seek, implies an integral ecological humanism. None of the present systems provides for this, nor has the capacity to correct itself (in order to provide it) without losing the essence of its identity […]. It is no longer a question of adding new variables to old mechanistic models. It is a question of remaking many things from scratch […] of conceiving radically different possibilities […] of understanding that, if it is the role of humans to establish values, then it is the role of nature to establish many of the rules. It is a matter of passing from the pure exploitation of nature and of the poorer people of the world, to a creative and organic integration and interdependence […] of a drastic redistribution of power through the organization of horizontal communal integration […] of passing from destructive giantism to creative smallness”.
The Human Scale Development approach, however, allows complete freedom in the choice of satisfiers and hence does not automatically guarantee unproblematic relationships among individuals, groups, and communities, with future generations or with nature itself. This is true for any approach to human development if, first and foremost, appropriate conceptual and ethical ‘boundary conditions’ are not established. Thus, we need to devise these ethical paths. Ethics, however, is a matter of problems, debates, choices, and responsibilities, not a collection of cookbook recipes for happiness or fairness. So now, and even more so in the AI age, what path are we willing to set for ourselves?
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Ne ‘Lo Sviluppo su scala umana’ di Manfred Max-Neef, il potere è inteso come capacità di controllo e manipolazione esercitata da una persona o da un gruppo che possiede la forza, e viene contrapposto all’autorità, intesa come capacità di influenza esercitata da una persona o da un gruppo a cui si attribuisce legittimità sulla base di competenze e qualità riconosciute. Max-Neef si chiede se l’insufficiente miglioramento, nel tempo, nel soddisfacimento dei bisogni umani derivi dal fatto che il potere è stato via via detenuto dai gruppi sbagliati o se il problema sia piuttosto il concetto stesso di potere. Potrebbe davvero essere questo il caso? È giunto il momento di ripensare quel concetto?
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In Manfred Max-Neef’s ‘Human Scale Development’, power is understood as the capacity for control and manipulation exercised by a person or group that possesses force, contrasting it with authority, which is viewed as the capacity for influence wielded by a person or group to whom legitimacy is granted due to recognized capabilities and qualities. Furthermore, Max-Neef questions whether the insufficient improvements in human well-being over time stem from the wrong groups holding power or if there is an inherent issue with power itself. Could this indeed be the case? Has the time come to rethink power?
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Secondo Max-Neef, una complessa rete di interconnessioni economiche, finanziarie, tecnologiche, culturali e politiche concorre a perpetuare disuguaglianze di potere tra nazioni industrializzate e paesi in via di sviluppo, ostacolando la capacità di questi ultimi di plasmare in modo indipendente i propri percorsi economici e sociali. Allo stesso modo, all’interno di quei paesi, interessi politici ed economici centralizzati possono esercitare un dominio sulle realtà locali e regionali. Delegare a pochi l’autorità decisionale porta a un’autonomia limitata e alla subordinazione, appunto, degli interessi locali e regionali. Questo può comportare disuguaglianze nella distribuzione delle risorse, nelle priorità di sviluppo e nella rappresentanza politica. Max-Neef promuove invece l’idea di uno sviluppo autonomo, una proposta che ritengo ancora oggi meritevole di discussione, non solo all’interno dei paesi in via di sviluppo.
Nel contesto dello sviluppo autonomo sono le persone ad assumere un ruolo guida all’interno di varie sfere e contesti. L’autonomia, però, non implica né l’isolamento, né il rifiuto dell’interconnessione tra nazioni, regioni, comunità locali o culture, ma promuove relazioni orizzontali che evitano dinamiche autoritarie e favoriscono la partecipazione nel processo decisionale, la creatività sociale, l’autodeterminazione politica, un’equa distribuzione della ricchezza e l’accettazione di identità diverse.
Nello Sviluppo a Scala Umana l’autonomia implica diverse forme di articolazione.
Articolazione tra esseri umani, natura e tecnologia: la prospettiva antropocentrica antepone le esigenze umane all’ambiente naturale. I modelli di sviluppo prevalenti sono focalizzati sulla crescita economica, quantificata da parametri come il PIL. Lo sfruttamento delle risorse e i progressi tecnologici aumentano il PIL anche quando hanno impatti ecologici dannosi. Lo SSU, invece, è attento alle relazioni ecologiche e alla salvaguardia delle risorse naturali. Questo implica, da un lato, la creazione di indicatori capaci di distinguere fra esiti positivi e negativi e, dall’altro, l’individuazione e applicazione di tecnologie adattabili a un processo di sviluppo che si possa definire eco-umanista.
Articolazione tra il personale e il sociale: i modelli politici prevalenti non riescono a conciliare lo sviluppo personale e quello sociale, che sono invece interconnessi e inseparabili e devono essere considerati prioritari nell’ambito di politiche complessive. L’autonomia, nello SSU, mira a potenziare lo sviluppo personale e sociale a vari livelli: individuale, locale, regionale e nazionale.
Articolazione tra micro e macro: le relazioni di dipendenza si sviluppano, di norma, dal livello macro a quello micro (ad esempio dallo Stato alle comunità locali). L’autonomia, al contrario, ha effetti sinergici quando si sviluppa dal basso verso l’alto; l’autonomia locale stimola quella regionale e nazionale. I processi che favoriscono l’autonomia, come intesa nello SSU, dovrebbero essere democratici, poco burocratici e integrare crescita personale e sviluppo sociale.
Articolazione tra pianificazione e autonomia: bilanciare il supporto esterno e le iniziative interne è cruciale per l’autonomia politica ed economica. La pianificazione globale dovrebbe potenziare l’autonomia locale ed emancipare i gruppi e le comunità locali. Una pianificazione comprensiva può trasformare le strategie di sopravvivenza in opzioni di vita sostenibili.
Articolazione tra Stato e società civile: l’autonomia richiede cambiamenti strutturali nella relazione tra lo Stato e la società civile. È necessario il coinvolgimento sociale per consolidare l’autonomia e affrontare i conflitti, incrementando la partecipazione sociale e armonizzandola in un tutto organico. Lo Stato, quindi, dovrebbe aprire spazi per la partecipazione dei diversi attori sociali al fine di bilanciare logiche centrate sul potere e evitare relazioni di dipendenza eccessive.
Il concetto di autonomia sfida l’aspettativa di comportamenti uniformi tra i diversi attori sociali e l’uso strumentale delle persone per l’accumulazione di capitale, favorendo invece una logica economica alternativa che privilegia il benessere e la diversità. L’autonomia richiede di passare dai semplici indicatori numerici allo sviluppo e all’empowerment degli individui, promuovendo la partecipazione, l’autonomia personale e una distribuzione equa delle risorse. Lo SSU mira ad emancipare le persone e le comunità affinché prendano in mano il proprio sviluppo, promuovendo la sostenibilità e l’ottenimento di risultati significativi. L’autonomia mira a promuovere l’autostima, a ridurre la dipendenza economica consentendo nel contempo i necessari scambi e commerci, e a un soddisfacimento più completo dei bisogni umani. L’autonomia, infine, vuole favorire una positiva interdipendenza, la preservazione delle culture e la comprensione delle tecnologie, contribuendo alla resilienza, all’identità culturale e allo sviluppo olistico.
Ora, l’autonomia, come intesa nello SSU, è solo un sogno o è un obiettivo raggiungibile? È desiderabile o no? Qualcosa di simile esiste da qualche parte? L’autonomia e la globalizzazione, per come quest’ultima è stata attuata, non sembrano andare molto d’accordo. L’autonomia, però, non esclude, ad esempio, il commercio internazionale e lo scambio. Che aspetto avrebbe una globalizzazione rispettosa dell’autonomia?
