Cosa vedremmo se guardassimo dentro un computer che esegue un software di intelligenza artificiale? Circuiti e segnali elettrici. E dentro i nostri cervelli? Morbide cellule che trasmettono segnali elettrochimici l’una all’altra. In termini di intelligenza, qual è la differenza? Per me nessuna. Non credo nelle proprietà “emergenti” che appaiono improvvisamente non appena si supera una certa soglia. Né credo che l’intelligenza sia un concetto del tipo sì/no. Componenti microelettronici e cellule possono collettivamente dar vita a comportamenti che un osservatore può considerare intelligenti (in una certa misura). Attività e compiti che queste entità svolgono possono differire, ma ancora una volta questo non è essenziale. Agli scettici suggerisco di leggere questo articolo, pubblicato su Scientific American, sui cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni come ChatGPT. Questi modelli, essenzialmente, possono eseguire compiti per i quali non sono stati esplicitamente addestrati, sembrano capaci di sviluppare una rappresentazione interna del mondo reale e imparano regole e informazioni attraverso le loro interazioni con gli utenti, il che suggerisce una forma di adattamento e apprendimento continuo. Io definirei queste cose intelligenza, almeno in qualche misura, e forse studiare i modelli di IA ci aiuterà a capire di più la nostra. Quindi consideriamo l’IA, appunto, come un’altra forma di intelligenza, una che, come ho scritto in un altro post, sonda la nostra essenza e le nostre intenzioni.
